CORSO DI DESIGN 2017-2018

PROF ARCH CECILIA POLIDORI

Sixties Design in the World

Metal, Plastic, Fashion, Music, Cinema and TV - LEZIONI e PIATTAFORME DIDATTICHE - Creative Crowdsourcing Design Platform

/ deepsdesignbycp@gmail.com

LABORATORY DESIGN methods by use of creative platforms -
Interactive Systems for the Creation and Evolution of Web Platform Projects,
Prototyping, Communication Strategy, Crowdsourcing Design, Processing Platforms,
an experimental project on interoperability of research and teaching of Data-Design
conducted through innovative scenarios and forms of organization of the processes
of interactive and collective learning.
PROJECTS, EXPERIMENTS AND PROTOTYPES WITH DIFFERENT MATERIALS

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© foto cecilia polidori

© foto cecilia polidori
Laboratorio Design in Dipartimento 7 Settembre 2017 12.36

appunti/ LAVAGNA - LEZIONE 12 OTTOBRE - "Omaggio agli Eames" & "Cent’anni di Sottsass"

appunti/ LAVAGNA 1a LEZIONE 12 X 17, sx 
appunti/ LAVAGNA 1a LEZIONE 12 X 17, dx
inoltre da LA REPUBBLICA del 12 X 2017, supplemento:
cfr.:
Cent’anni di Sottsass 
  1. design.repubblica.it - Casa & Design - Repubblica.it;
  2. di: Valentina Galleri, "An Eames Celebration al Vitra Museum Design - Casa & Design" - http://design.repubblica.it/2017/09/29/an-eames-celebration-al-vitra-museum-design;
  3.  Vitra Museum Design /"Informationen" - https://www.design-museum.de/de/informationen.html;
  4. di: Aurelio Magistà, Cent’anni di Sottsass: pensiero libero, il suo progetto - Casa & Design - http://design.repubblica.it/2017/09/14/centanni-di-sottsass-pensiero-libero-il-suo-progetto;
Quattro mostre parallele celebrano la coppia di maestri del design Charles & Ray Eames. I loro mobili, i film, i libri, le esposizioni e le installazioni mediali che dagli anni Quaranta sono ancora così attuali e moderni. Dal 30 settembre al 25 febbraio 2018 l’appuntamento con An Eames Celebration è presso il Vitra Museum Design di Weil am Rhein, vicino a Basilea.
Al centro del percorso espositivo si trova The Power of Designesattamente nella struttura principale del museo, che mette in scena una panoramica completa sulle opere e sulla vita dei coniugi. Cinquecento pezzi originali tra film, fotografie, mobili, disegni, sculture, dipinti, tessuti, opere grafiche, modelli e guardaroba teatrali.
La prima parte della mostra documenta l’inizio della collaborazione tra Charles e Ray. Da quel momento, le costruzioni e i loro mobili più conosciuti furono realizzati in un arco di tempo di soli 15 anni. Dall’interesse per il legno, si passa all’attenzione verso i materiali plastici (siamo alla fine degli anni Quaranta), per finire con progetti come la Lounge chair e la Wire chair costituita da reti metalliche.
Spazio anche alle costruzioni e agli interni degli Eames. Charles & Ray erano affascinati dall’arte popolare: in viaggio amavano collezionare oggetti da riutilizzare poi nei loro progetti di interni.
Ideas and Information. The Eames Films invece è la mostra di Zaha Hadid, situata nella Fire station, dedicata ad alcuni dei cortometraggi realizzati da Charles e Ray Eames. Nella Vitra Design Museum Gallery è presentata poi la collezione di giocattoli dei due designer (l’ultimo giorno per visitarla è l’11 febbraio 2018): si chiama Play Parade, l’installazione ricca di forme e colori che invita a osservare, scoprire e partecipare.
Come nascevano gli schizzi degli Eames? Lo racconta infine Kazam! The Furniture Experiments of Charles & Ray Eames nel Vitra Schaudepot. 








Mobili come monumenti nelle piazze - Libreria, coloratissimo agglomerato di ripiani, parete divisoria: è Carlton, totem e simbolo di Memphis, il gruppo di lavoro - più che movimento - fondato da Sottsass con alcuni amici alla fine del 1980. Le opere di Memphis debuttarono con gran clamore al Salone del mobile del 1981, che all’epoca si teneva a settembre. Carlton è tipico dello stile di Sottsass: oggetti di forte impatto fisico e visivo, che “non legano” con gli altri mobili ma “stanno lì da soli, come monumenti nelle piazze”
La fame. La guerra. La prigionia. I mille colori e le sorprendenti forme creati da Ettore Sottsass affondano le radici in un terreno accidentato. Perché è nelle vicissitudini della guerra e nella confusione della sconfitta che Sottsass ha contratto quella febbre di vita che ne segnerà lo stile e l’esistenza. A cominciare dalla quantità delle opere. Migliaia di progetti, di pagine fitte della sua scrittura fitta e rotonda, centinaia di migliaia di fotografie, molte scattate proprio negli anni di guerra. E poi innumerevoli disegni e schizzi, da architetto che era stato tentato di diventare pittore. Tutto custodito dalla seconda moglie Barbara Radice (non a caso figlia di un pittore, l’astrattista Mario Radice) e tutto improvvisamente di nuova attualità: il 2017 segna il doppio anniversario di Sottsass, nato il 14 settembre del 1917 e morto il 31 dicembre del 2007.
Architetto figlio di un architetto (Ettore come lui, che per questo a lungo avrebbe aggiunto  un “jr” al proprio nome), nato a Innsbruck, studente al Politecnico di Torino, sembra predestinato a una vita borghese cui invece lo sottrae proprio la guerra. «Avevo venticinque anni. Le condizioni previste per la vita di un giovane architetto borghese erano tutte, assolutamente tutte, saltate». Alpino, evita fortunosamente la Grecia e la Russia, poi finisce in Montenegro. Prigioniero, per tornare in Italia si arruola nel nuovo esercito di Salò: «a Ulm sono finito nella Monterosa ma ho rifiutato di iscrivermi al partito fascista». Poi diserta e si rifugia in montagna.
Al ritorno, prova a lasciarsi tutto alle spalle aprendo uno studio di architettura. A Milano, per fare contenta Fernanda Pivano, che sarà la sua prima moglie. La passione per l’arte è forte: partecipa al Movimento Arte concreta, intanto per vivere fa di tutto, anche uno stand fieristico per Carpano. «Passavo i giorni con artigiani del ferro del legno della ceramica del vetro perché mi aiutassero a capire che cosa poteva succedere con le diverse materie». I legami con l’architettura viennese, insieme alle relazioni e ai viaggi della Pivano, gli aprono orizzonti all’epoca riservati a pochissimi, ne segnano la vocazione internazionale, gli offrono occasione di straordinari incontri. «viaggiavo di notte da Pisa a Firenze. Al mio fianco c’era Fernanda e seduto dietro Allen Ginsberg. Per tutto il viaggio Allen ha fatto un discorso fantastico sulla parola. Diceva più o meno che ogni parola non ha soltanto un significato ma tanti, consegnati nel tempo alla parola dalla dinamica delle convenzioni». Oppure: «A Cuba, la casa si chiamava Finca Vigìa. Io me ne stavo lì bravo bravo in silenzio e qualche volta Hemingway si girava verso di me e mi raccontava la storia che stava scrivendo come se i personaggi in quel momento fossimo noi due. Stava provando dal “vero” se più o meno la sua storia poteva stare in piedi».
Come progettista, pensa che gli oggetti devono emozionare, andare al di là della semplice funzione. Principio che ispira la sua art direction a Poltronova, dal 1957. Può apparire curioso che, con simili idee, finisca l’anno dopo in quell’incubatore del futuro e di utopie che è la Olivetti. «Lavoravo con Roberto Olivetti e Mario Tchou al progetto del primo grande calcolatore elettronico italiano. Io ero stato chiamato per il design, mentre Mario Tchou dirigeva il gruppo degli ingegneri e Roberto Olivetti era il presidente della “Divisione elettronica Olivetti” appena fondata. Io ero il meno impegnato e il meno responsabile. Ma mi venivano delle idee». Fra le tante, la magica Valentine, macchina da scrivere datata 1969, non elettronica ma meccanica, rossa fiammante, portatile diventando essa stessa valigetta grazie a un involucro.
Ama lavorare con gli altri, confrontarsi, fare gruppo, anche con spirito contraddittorio, da anarchico del pensiero qual è. Un’inclinazione che ne fa un anticipatore e un fondatore. Anticipa e sostiene i temi e le critiche del Radical design, versione progettuale del Sessantotto (non a caso epicentro sono le facoltà di architettura, in primis Firenze), incrocia i gruppi di Alchimia e Archizoom, e partecipa a una comunità di amici e di “allievi”. Con cui fonda Memphis. «Nel settembre 1981 a Milano abbiamo fatto “Memphis”, una mostra di mobili progettati da vari designer un po’ italiani, un po’ giapponesi, spagnoli, francesi, americani e inglesi. Quei mobili avevano la caratteristica di essere decorati con laminato plastico, e di avere tutti quanti colori più o meno vivaci. Si potrebbe dire che si riferivano alle esperienze pop – ma un pop della suburbia milanese forse più che di quella americana o forse un misto internazionale – oppure rivisitavano l’architettura del movimento moderno in modo vagamente ingenuo, e culturalmente declassato. Erano costruiti senza ricorrere agli ingranaggi stretti della cultura figurativa che descrive le società bene istituzionalizzate. E altre cose difficili da dire». L’oggetto-manifesto è la libreria Carlton Il successo – sono i giorni del Salone del mobile – è inaspettato e clamoroso, ma «l’establishment professionale milanese …. Era molto rabbioso e scandalizzato. Dicevano che “Memphis” non aveva basi culturali, che non aveva futuro, che intorbidava le acque e niente altro, e anche l’amico Magistretti era infuriato perché insegue il bello, e anche Gregotti non era per niente interessato perché insegue l’architettura come attività metafisica… questo affare “Memphis” a molta gente è sembrato un giocattolo e basta, una mossa troppo incerta o persino scorretta». Il movimento, non sistematico, non prescrittivo e anarcoide proprio come Sottsass, dura pochi anni. L’onda lunga dei personaggi coinvolti e delle vocazioni suscitate è arrivata a oggi. 
In un mondo interiore fatto di emozioni, di passioni come quello di Sottsass, un ruolo fondamentale lo hanno le donne. Che si sceglie forti, energicheFernanda Pivano lo vuole sposare ma dinanzi alla sua indecisione sposa un altro. Che lascia nel 1949, quando gli chiede di andare a vivere con lei. Lo mantiene mentre Ettore cerca di capire che cosa fare, e forse chi essere. Oltre due decenni di vita insieme. Ma nel 1976 irrompe Barbara Radice. Si conoscono alla Biennale di Venezia. Lui è conquistato, prima che dalla sua giovinezza (gli anni di differenza sono più di trenta), dalla sua intensità: «Barbara stava seduta sul davanzale della finestra con un’immensa quantità di sole di giugno, luce, oro, nei capelli biondi. Aveva seni piccoli, braccia sottili come un’indiana, tutta magra, con blue jeans stretti, scarpe di pelle nera, tacchi alti. Eravamo nello studio di Vittorio Gregotti, che voleva farmi lavorare per la Biennale… Barbara mandava fuori quel mistero delle donne belle, intatte, selvagge… è venuta a parlarmi nello studio, abbronzata, splendente, forte, diritta, invasa dalla vita».  Quella vita che lo avrebbe abbandonato solo molti anni dopo, nel 2007; era il 31 dicembre, una data che sa di cose compiute, come quando si completa un progetto. Sensazione che lui ha anticipatamente smentito: «Io sono amico della gente incerta, perplessa, modesta che cerca di capire e che sempre è nello stato di uno che non ha capito. Sono molto amico della gente che ha paura».
da: Dipartimento di Patrimonio, Architettura e Urbanistica - Didattica - Scheda insegnamento
corso di design 2017-8: appunti/ LAVAGNA - in aggiornamento: 15 X h 11:26